Il Comune di Milano ha inserito nelle Norme di Attuazione (NA) del Piano delle Regole (PdR) del Piano del Governo del Territorio (PGT), all’art. 10, i concetti di “resilienza urbana” e si “sostenibilità” ambientale. Si tratta di una serie di misure di contrasto all’uso indiscriminato dell’ambiente naturale e di incentivo all’uso migliore delle infrastrutture. Il primo comma dell’art. 10 individua lo scopo della norma. Se questo è nobile, l’articolato è, alle volte, di difficile interpretazione e quindi di difficile applicazione. Si inizia affermando che la norma si applica a tutti gli interventi ricadenti nel territorio comunale. Si escludono, poi, i piani attuativi la cui delibera di adozione sia intervenuta prima dell’entrata in vigore della variante al PGT. Si aggiunge, poi, che la norma si applica anche agli edifici destinati a servizi pubblici (ma detti servizi sono comunque già compresi nella dizione “tutti gli interventi”). Si escludono, inoltre, le varianti, anche essenziali, ai titoli edilizi presentati prima della data di entrata in vigore della variante. Devi notare che si parla di titoli edilizi (quindi CILA, SCIA ordinaria, SCIA sostitutiva di PdC, PdC) e per l’esonero è sufficiente che il titolo edilizio originario sia stato presentato. L’inclusione della variante essenziale nel novero delle esclusioni aprirà certamente un dibattito in merito alla natura e alla durata del titolo originario. La variante essenziale è interpretata dalla giurisprudenza come nuovo titolo e, pertanto, essa dovrebbe avere una propria durata, indipendente da quella del titolo originario. Essa comunque dovrebbe essere rilasciata quando il precedente titolo era ancora in vigore. Ho usato il condizionale perché in effetti la giurisprudenza oscilla in materia. Ci si domanderà se basterà che il titolo fosse in vigore al momento della presentazione della variante. Io credo di no, in base al principio generale di diritto che il diritto applicabile è quello del momento del rilascio e non quello della presentazione. Per dirla come i latinisti “tempus regit actum”. L’articolo 10 entra poi nel tecnico quando, ai commi 3 e 4, elenca le soglie di riduzione delle emissioni e dell’impatto climatico, di risparmio del terreno permeabile, etc., per ciascuna categoria di intervento (restauro e risanamento, ristrutturazione ordinaria, ristrutturazione ricostruttiva, nuova costruzione). Per raggiungere questi risultati la norma elenca anche le soluzioni possibili. In poche parole, comunque, si tratta di considerevoli costi aggiuntivi per il privato. Questi costi possono essere monetizzati, in base al comma quinto dell’articolo 10. La norma non pone criteri per la quantificazione delle monetizzazioni (quindi il Comune sarà libero di determinarne l’importo) ma, per fortuna, impone una destinazione nell’uso delle risorse derivanti da questa voce di entrata nel bilancio comunale: esse debbono contribuire alla de-pavimentazione degli ambiti limitrofi e alla realizzazione del “futuro parco metropolitano”. Chiudono questo interessante articolo due commi in merito agli incentivi (sostanzialmente una riduzione delle dotazioni territoriali che, a loro volta possono essere monetizzate e quindi si tratta, in pratica di uno sconto, su tale monetizzazione) e in merito all’aggiornamento degli elementi tecnici della norma (in sostanza, le misure e gli obblighi del titolare del titolo edilizio). Quest’ultima previsione conferisce il potere di aggiornamento ad una determina dirigenziale motivata. Ho qualche perplessità sulla legittimità della previsione, dal momento che essa conferisce ad un dirigente un ampio potere che limita la libertà individuale degli operatori, senza alcuna forma di partecipazione democratica (neanche indiretta attraverso il conferimento del potere ad un organo elettivo).
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